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La storia di Giuseppe Salvarezza, contadino, suonatore di fisarmonica, nato a Sarissòla (Busalla) nel 1924: a militare negli alpini per dieci giorni, alla caserma di Cairo Montenotte, l’8 settembre torna a casa e sale ai monti con la banda di Cichéro.

Nome di battaglia “Pinan”, comandante di distaccamento a Vallenzona, comandante di battaglione a Roccaforte Ligure, nella brigata Oreste, fu ucciso al principio del grande rastrellamento invernale, il 15 dicembre 1944, alle pendici del monte Bossola, sopra il paese di Rovello, frazione del Comune di Mongiardino Ligure.

L’indomani, undici suoi compagni furono catturati e portati via. Uno fu ucciso lungo il tragitto e sei furono fucilati a Casella pochi giorni dopo: i loro corpi non furono mai ritrovati.

Tre mesi dopo la morte di “Pinan”, il suo nome fu assegnato alla neonata divisione partigiana della Val Borbéra, la Pinan-Cichéro, filiazione dell’originaria divisione Cichéro.

L’itinerario passa dal paese di Nenno – punto-tappa dei corrieri che, grazie al trenino di Casella, mantenevano i collegamenti fra il partito comunista e l’organizzazione partigiana –, raggiunge Crocefieschi, sede di un presidio tedesco, e Vobbia, per risalire a San Clemente, piccolo paesino incendiato dai nazifascisti. Infine, scende sui pianori di Dova – campo di lancio per i velivoli alleati che rifornirono le brigata partigiane –, passa da Piancerreto, rifugio della missione d’intelligence italo-alleata Merìden, e termina a Rocchetta Ligure, centro di riferimento per i distaccamenti e le brigate della zona, con l’ospedale partigiano e il comando della brigata Oreste.

Il monte Antola, 1.597 metri sul livello del mare, è uno dei principali crocevia della geografia partigiana della Sesta zona. Alla base della vetta, due rifugi – il Bensa, gestito dalla famiglia Fossa, di Torriglia, e il Musante, gestito dai fratelli Musante, di Bavastrelli – garantirono aiuto e sostegno ai partigiani della Cichéro.

Il 29 o il 30 ottobre 1943 al rifugio Musante si riunì un gruppo di volenterosi, per la maggior parte comunisti genovesi, per gettare le basi della resistenza sull’Appennino fra il mare e la pianura. Fra loro, Franco Antolini, Vladimiro Diodati, Giovanni Battista Canepa, Vero Mitta, “Pippo” Bozzano, il giovane “Denis” Marchelli e altri. Dopo il primo momento di incomprensione coi gestori, Alfredo e Albina Musante, le porte del rifugio rimasero sempre aperte ai partigiani, anche dopo gli incendi e i saccheggi ad opera di tedeschi e brigate nere.

Quel giorno, sul monte Antola, nacque la banda Scintilla (comandato da Edoardo Colombari, un comunista di Sampierdarena), che più tardi confluì nella brigata di Cichéro.

Questo percorso inizia ad Albera Ligure, sede del comando divisione della Pinan-Cichéro e, per un certo periodo, anche del SIP divisionale, il servizio informazioni e polizia, organizzato e gestito da

“Marco” Balduzzi.

Lungo la strada, nei pressi di Megasco, frazione di Cabella, il 25 giugno 1944 fu catturato dai repubblichini il partigiano Oreste Armano, classe 1922, vice-comandante di un distaccamento. Trasferito in carcere a Torino, venne fucilato il successivo 22 settembre. Da lui prese nome la brigata Oreste.

Cabella fu un centro nevralgico della resistenza borberina, teatro di rastrellamenti e battaglie; in frazione Cornareto aveva sede l’intendenza della divisione Pinan-Cichéro, a Vegni il SIP del Comando Zona, a Reneusi il distaccamento prigionieri della brigata Jori.

I rastrellamenti dei nazifascisti arrivarono sino ai Campassi – dove nell’agosto 1944 fu catturato “Bill”, Italo Rivara, diciottenne di Quezzi – e a Berga: qui, a marzo, i tedeschi avevano arrestato e incarcerato a Pavia il partigiano “Paioto”, Antonio Leidi, di Garbagna, e Ambrogio Chiesa, l’oste del paese. Tutti e tre furono deportati: l’oste e “Paioto” ritornarono vivi dalla Germania, mentre “Bill” morì a Überlingen, sottocampo di Dachau, il 2 aprile 1945.

Dalla val Trebbia alla val Borbéra, attraverso la Casa del Romano e le Capanne di Carrega: si parte da Loco, teatro di vari scontri con gli alpini della divisione Monterosa (nell’ottobre del 1944, con quattro giovanissimi partigiani caduti) e con i tedeschi (nel febbraio del ’45, senza vittime, quando furono catturati trenta tedeschi che da Torriglia, in bicicletta, si erano spinti sino a Rovegno).

Fascia, base accogliente per molti distaccamenti della brigata Jori – il Bellucci, il Guerra – e sede di una piccola infermeria, ospitò una riunione, fra il 7 e l’8 marzo 1945, che rischiò di spaccare il movimento partigiano, riunione che vide contrapporsi il comandante “Bisagno” e i vertici comunisti del Comando Zona e che si risolse con un compromesso: “Bisagno” non fu allontanato, ma dovette accettare di perdere il controllo sulle brigate che costituirono la nuova divisione Pinan-Cichéro.

Presso la Casa del Romano c’era il comando della brigata Jori, del comandante “Croce”, ma anche il comando della divisione Cichéro e il distaccamento delle reclute.

Capanne di Carrega, dimora di “Driulin”, contadino di Carrega Ligure, ospitò distaccamenti delle brigate Oreste e Jori, oltre a comandi vari, missioni alleate e altre importanti riunioni, come quella del 23 settembre 1944, ricordata da una lapide.

Sui pascoli di Carrega scesero molti paracadute degli aviolanci alleati. In paese, diverse lapidi ricordano la presenza partigiana: una per le missioni alleate, una per il comandante “Miro”, una sulla casa del comando, che fu incendiata. E poi Connio, Cartasegna, Daglio e i rastrellamenti del gennaio 1945. Per ultima, Magioncalda, frazione di Carrega, dove a distanza di mesi trovano la morte Stelvio Zonta, della brigata Caio, giovane maestro elementare di Suzzara, ferito il 31 agosto 1944 e spirato il 1° settembre all’ospedale di Rocchetta, e il calzolaio Ottavio Grottin, trent’anni, ottavo figlio (di dodici) di padovani immigrati a Busalla, colto di sorpresa dai tedeschi e fucilato il 15 dicembre 1944.

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